Mercoledì 14 ottobre 2020

Nel 2019 la pressione fiscale è tornata a salire, ma lo farà anche nel 2020 e nel 2021

a cura di: Dott. Gianmaria Vianova
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Nel 2019 la pressione fiscale è tornata a salire, ma lo farà anche nel 2020 e nel 2021

Nel 2019 la pressione fiscale è salita al 42,4%, in aumento per la prima volta negli ultimi cinque anni. A dare l'allarme è il documento "Analisi della pressione fiscale in Italia, in Europa e nel mondo" pubblicato in settimana dal Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili e dalla Fondazione nazionale commercialisti. Nel dettagliato studio che fotografa lo stato della pressione fiscale in Italia nei confronti dei partner europei e mondiali risulta infatti come l'anno scorso, per la prima volta dopo un lustro, la tendenza si sia nuovamente invertita: nel 2019 la pressione fiscale italiana è salita portandosi al 42,4%, un incremento dello 0,7% rispetto al 2018. La frazione dei ricavi che se ne va in tributi è dell'1,4% superiore alla media europea e si colloca sesta nella graduatoria comunitaria.

Ha generato tuttavia scalpore il dato stimato dal Cndcec e Fnc che prende in considerazione il sommerso e l'economia illegale: al netto di queste ultime componenti (pari al 12% del Pil, secondo le stime), la pressione fiscale italiana raggiunge il 48,2%. Una percentuale che scalerebbe rapidamente la classifica dei regimi fiscali più aspri d'Europa piazzandosi al primo posto. Il documento ricorda anche che secondo la Nadef 2020 nel 2020 si assisterà alla medesima dinamica, con la pressione fiscale complessiva destinata a salire dello 0,1% e di un ulteriore 0,5% nel 2021. La pressione fiscale rispetto a quarant'anni fa risulta essere decisamente più pesante, per la precisione di ben 11,1 punti di Pil. Un aumento che è da imputare integralmente alla pressione tributaria (+11,3%) dato che la pressione contributiva si è leggermente ridotta (-0,2%). Stando all'elaborazione contenuta nel documento, sulla pressione tributaria nel 2019 (pari al 28,9%) pesa per una quota preponderante il livello centrale (24,7%) mentre a livello locale la percentuale risulta come di consueto più contenuta (4,2%). "La pressione fiscale è e resta alta, sbilanciata dal lato del lavoro rispetto al consumo, prevalentemente centrale, fortemente condizionata dall'esistenza di un vasto sommerso economico, pesantemente schiacciata dal livello della spesa pubblica. Nonostante il continuo richiamo alle semplificazioni è parcellizzata in una miriade di singoli tributi, mentre il prelievo risulta sempre più concentrato su poche imposte. Pertanto, ogni tentativo di ridurla si scontra con le esigenze del bilancio pubblico appesantito da un'elevata spesa sociale, da inefficienze e sprechi e dal servizio del debito", il commento di Cndcec e Fnc.

Cndcec e Fnc passano in rassegna le varie tappe dell'aumento della pressione fiscale italiana. Pressione fiscale che, all'inizio degli anni '80, si attestava di poco sopra il 30% ma che nel corso del decennio ha registrato un incremento di circa 8 punti percentuali. Il bilancio dello Stato era messo sotto pressione sia dall'aumento della spesa pubblica che, soprattutto, dall'incremento degli oneri finanziari sul debito pubblico (combinazione del "Divorzio" tra Tesoro e Banca d'Italia e dell'esplosione dei tassi reali in seguito al Volcker Shock negli Stati Uniti). Sebbene il deficit dello Stato andò anche in doppia cifra, l'avanzo primario in quel periodo cominciava la sua corsa verso il territorio positivo terminata solo all'inizio degli anni '90. In quel decennio, tolti due picchi del 1993 (42,7%) e 1997 (42,3%), la pressione fiscale è andata scendendo sino al 2005, quando toccò il 39%. "La spesa per interessi sul debito, nel 1992 raggiunge il 29,2% delle entrate fiscali e nel 1993 il livello record del 29,5%. La stessa voce, però, crollerà subito dopo il 1996 e, a parte la parentesi negativa 2011-2013 [...] continuerà a scendere fino al livello storicamente molto basso del 2019 (3,4% del Pil e 7,9% delle entrate fiscali)". Dagli anni '90 in poi una salita della pressione fiscale, dapprima per consolidare i parametri di Maastricht (3% di deficit su tutti) e in seguito per lo scoppio della crisi economica del 2008.

Con la crisi europea dei debiti sovrani che colpì anche l'Italia, i governi che si sono succeduti dopo il 2010 sono stati chiamati a notevoli sforzi per riequilibrare il bilancio Statale, portando la pressione fiscale ad un livello record nel 2013, al 43,4%. Da quell'anno in poi una progressiva discesa (accompagnata dalla seppur debole ripresa economica) proprio fino al 2019, anno in cui la pressione fiscale è tornata a crescere. È interessante osservare come proprio nel 2019 l'Italia abbia fatto registrare il rapporto tra deficit e Pil più contenuto dal 2007, a -1,6%.

AUTORE:

Dott. Gianmaria Vianova

Gianmaria Vianova, classe 1996, si è laureato in economia e management presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza nel 2018. Attualmente è iscritto al corso di laurea magistrale in Economia...
e Finanza presso l'Università degli Studi di Milano-Bicocca. Dal 2017 collabora con il quotidiano Libertà di Piacenza, occupandosi di temi economici e cronaca.
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  • Il Trattamento di Fine Mandato

    Il Trattamento di Fine Mandato

    L’attribuzione del Trattamento di Fine Mandato (T.F.M.) quale compenso aggiuntivo da riconoscere agli amministratori di una società, presenta vantaggi importanti che si manifestano su due piani:

    - fiscale
    - gestionale/strategico.

    1. Vantaggi fiscali
    Il T.F.M. rappresenta un'importante leva di pianificazione fiscale per le società e un significativo beneficio per i suoi amministratori.
    Questo compenso, erogato al termine del rapporto di amministrazione, se correttamente strutturato, offre un duplice vantaggio fiscale: per l'azienda che lo accantona e per l'amministratore che lo percepisce.
    I benefici fiscali del T.F.M. si articolano principalmente in due ambiti:

    - la deducibilità del costo per competenza per la società, con conseguente riduzione dell'imponibile IRES ogni anno e
    - la tassazione separata per il percipiente.


    2. Vantaggi gestionali e strategici
    Tralasciando il caso – peraltro molto frequente nelle società di piccole dimensioni (cosiddette “familiari”) di attribuzione del TFM per aspetti principalmente fiscali, è utile considerare il TFM un potente strumento di gestione aziendale perché favorisce questi importanti fattori:

      • fidelizzazione e incentivazione: il TFM agisce come un incentivo a lungo termine. Sapendo di avere una somma importante che matura nel tempo, l'amministratore è più propenso a rimanere legato alla società e a lavorare per il suo successo duraturo. È un modo per premiare la lealtà e la permanenza.
      • attrazione di talenti: in fase di assunzione di un manager di alto profilo, offrire un pacchetto retributivo che include anche il TFM rende la posizione più attraente e competitiva rispetto a società che offrono solo un compenso fisso.
      • pianificazione finanziaria: accantonare il costo anno per anno permette una gestione finanziaria più ordinata e prudente. La società non si troverà a dover affrontare un esborso improvviso e imprevisto alla fine del mandato, poiché il costo è stato spalmato contabilmente su più esercizi, dando una rappresentazione più fedele della situazione patrimoniale.

    In conclusione, per la società il TFM non è semplicemente un costo aggiuntivo, ma un investimento strategico che, se correttamente pianificato, genera un importante risparmio fiscale immediato e contribuisce a creare un rapporto più solido e duraturo con il proprio management.

    Questo lavoro affronta i principali aspetti civilistici e fiscali e indica il modo corretto di operare, per permettere l’imputazione della quota annua di costo societario per competenza ed evitare che lo strumento utilizzato porti a contestazioni o riprese fiscali da parte dell’Amministrazione Finanziaria.

    Fa parte di questo strumento pratico operativo (tool) il verbale di assemblea dei soci.

    a cura di: Studio Meli S.t.p. S.r.l.
  • Contratto di joint venture tra studi professionali

    Il contratto di joint venture si può definire nel nostro caso come un accordo in forza del quale due o più studi (o imprenditori) mettono in comune dei mezzi per collaborare e cooperare al fine di fornire una maggiore specializzazione e quindi un'assistenza al cliente più completa sotto vari aspetti (giuridico, di diritto internazionale, fiscale).
    Nell'esecuzione della propria prestazione professionale, ciascuno studio conserva autonomia e individualità, così che siamo di fronte ad un contratto associativo atipico, distinto anche dal contratto di società.

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  • Assegnazione Agevolata Immobili Società. Tassazione Soci 2025

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    La legge di bilancio 2025 ha previsto la possibilità, per le società, di assegnare e/o cedere ai soci gli immobili non strumentali per destinazione (oltre ai beni mobili registrati).
    In particolare è prevista l’applicazione di una imposta sostitutiva dell’8% (10,5% se le società sono risultate NON operative nei tre esercizi precedenti) sulla eventuale plusvalenza risultante dalla differenza tra il valore normale, in ipotesi di assegnazione, o il prezzo di cessione, in ipotesi di cessione, e il costo fiscalmente riconosciuto dei beni assegnati/ceduti, con la particolarità che in caso di assegnazione il valore normale per i beni immobili può essere, alternativamente al valore normale ex art. 9 del TUIR, assunto pari al “valore catastale” applicando alla rendita catastale i moltiplicatori previsti ai fini dell’imposta di registro. In caso di cessione il corrispettivo, se inferiore al valore normale, determinato alternativamente ex art. 9 TUIR o in base al “valore catastale”, dovrà essere computato in misura non inferiore al valore normale stesso.
    Altro vantaggio dell’operazione consiste nel fatto che, in caso di applicazione di imposta di registro proporzionale le aliquote applicate siano ridotte della metà.

    a cura di: Studio Meli e Studio Manuali
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