Mercoledì 30 marzo 2022

Il mercato del lavoro si sta raffreddando secondo Banca d'Italia e Istat

a cura di: Dott. Gianmaria Vianova
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Il mercato del lavoro si sta raffreddando secondo Banca d'Italia e Istat

Secondo le analisi di Banca d'Italia, nei primi due mesi del 2022 si sono registrate 22mila assunzioni in più rispetto alle cessazioni di rapporti di lavoro. Un dato positivo che conferma il trend di crescita e recupero verso i numeri pre-pandemici. Nonostante ciò, Palazzo Koch rileva una "lieve flessione" nel numero di posti di lavoro creati rispetto agli ultimi mesi del 2021. Una dinamica che andrebbe oltre i pesanti effetti stagionali che si registrano a cavallo tra le due annate (chiusura dei contratti a fine 2021 e attivazione ad inizio 2022). Come registra Banca d'Italia: "Il rallentamento è stato più marcato in alcuni comparti dei servizi e in particolare nel commercio e nel turismo, penalizzati dai nuovi timori di contagio e dalle restrizioni connesse con la diffusione della variante Omicron. Il numero di attivazioni nette nell'industria è rimasto su livelli sostanzialmente simili a quelli dei mesi precedenti".

La ripresa del mercato del lavoro in Italia è stata trainata lungo tutto il 2021 da contratti a termine. Questo fenomeno pare però si sia indebolito all'inizio del 2022, vi sono cioè segnali di riequilibrio tra le due tipologie di occupazione all'interno del mercato del lavoro, specialmente nei nuovi posti creati nell'ultimo periodo. Il tempo determinato resta tuttavia una componente determinante della ripresa, costituendo circa la metà delle attivazioni nette di gennaio e febbraio 2022. "Prosegue l'andamento negativo dell'apprendistato mentre si mantengono sui valori raggiunti alla fine del 2021 le attivazioni di contratti a tempo indeterminato, incluse le trasformazioni di impieghi già esistenti (esclusi i fattori stagionali). Con la progressiva rimozione dei vincoli introdotti durante le fasi più acute della pandemia, sono cresciute anche le cessazioni di contratti a tempo indeterminato, pur evidenziando dinamiche eterogenee tra settori".

Allo stesso tempo, Istat ha pubblicato la propria nota sul mercato del lavoro del quarto trimestre del 2021, tracciando un bilancio della chiusura dell'anno. Negli ultimi tre mesi l'input di lavoro, misurato come unità di lavoro equivalenti, è aumentato sia rispetto al terzo trimestre (+0,3%) che rispetto agli ultimi tre mesi del 2020 (+6,0%). Una percentuale, quest'ultima, particolarmente elevata che sconta ancora la crisi del Covid ed è quindi da considerare con le dovute cautele.

Stando alle rilevazioni tratte dalle comunicazioni obbligatorie, negli ultimi tre mesi del 2021 quasi quattro nuovi posti di lavoro su dieci erano rappresentati dal tempo determinato (39,5%) con una durata prevista fino a trenta giorni. Il 29,1% aveva invece una durata compresa tra i due e i sei mesi mentre solo lo 0,9% supera l'anno. Come sottolinea Istat: "Nel complesso, si riscontra un aumento dell'incidenza delle attivazioni dei contratti di brevissima durata (23,6% fino a una settimana, +3,7 punti rispetto al quarto trimestre 2020), e di quelli da uno a sei mesi (+5,8 punti)".

A differenza dell'analisi di Banca d'Italia, Istat pone l'accento sul rallentamento della crescita dei posti di lavoro a tempo indeterminato: "Su base annua, prosegue la crescita delle posizioni lavorative a tempo indeterminato, seppur in rallentamento, sia nei dati delle CO (+297 mila in un anno; era +308 mila nel terzo trimestre 2021, +367 mila nel secondo e +394 nel primo) sia in quelli Inps-Uniemens (+140 mila, +182 mila, +184 mila e +207 mila, rispettivamente). Positiva e più marcata la dinamica delle posizioni a tempo determinato tanto nei dati delle CO (+321 mila posizioni; Tavola 2) quanto in quelli di Inps-Uniemens riferiti alle sole imprese private (+552 mila unità), che comprendono anche il lavoro in somministrazione e a chiamata".

AUTORE:

Dott. Gianmaria Vianova

Gianmaria Vianova, classe 1996, si è laureato in economia e management presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza nel 2018. Attualmente è iscritto al corso di laurea magistrale in Economia...
e Finanza presso l'Università degli Studi di Milano-Bicocca. Dal 2017 collabora con il quotidiano Libertà di Piacenza, occupandosi di temi economici e cronaca.
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    L’attribuzione del Trattamento di Fine Mandato (T.F.M.) quale compenso aggiuntivo da riconoscere agli amministratori di una società, presenta vantaggi importanti che si manifestano su due piani:

    - fiscale
    - gestionale/strategico.

    1. Vantaggi fiscali
    Il T.F.M. rappresenta un'importante leva di pianificazione fiscale per le società e un significativo beneficio per i suoi amministratori.
    Questo compenso, erogato al termine del rapporto di amministrazione, se correttamente strutturato, offre un duplice vantaggio fiscale: per l'azienda che lo accantona e per l'amministratore che lo percepisce.
    I benefici fiscali del T.F.M. si articolano principalmente in due ambiti:

    - la deducibilità del costo per competenza per la società, con conseguente riduzione dell'imponibile IRES ogni anno e
    - la tassazione separata per il percipiente.


    2. Vantaggi gestionali e strategici
    Tralasciando il caso – peraltro molto frequente nelle società di piccole dimensioni (cosiddette “familiari”) di attribuzione del TFM per aspetti principalmente fiscali, è utile considerare il TFM un potente strumento di gestione aziendale perché favorisce questi importanti fattori:

      • fidelizzazione e incentivazione: il TFM agisce come un incentivo a lungo termine. Sapendo di avere una somma importante che matura nel tempo, l'amministratore è più propenso a rimanere legato alla società e a lavorare per il suo successo duraturo. È un modo per premiare la lealtà e la permanenza.
      • attrazione di talenti: in fase di assunzione di un manager di alto profilo, offrire un pacchetto retributivo che include anche il TFM rende la posizione più attraente e competitiva rispetto a società che offrono solo un compenso fisso.
      • pianificazione finanziaria: accantonare il costo anno per anno permette una gestione finanziaria più ordinata e prudente. La società non si troverà a dover affrontare un esborso improvviso e imprevisto alla fine del mandato, poiché il costo è stato spalmato contabilmente su più esercizi, dando una rappresentazione più fedele della situazione patrimoniale.

    In conclusione, per la società il TFM non è semplicemente un costo aggiuntivo, ma un investimento strategico che, se correttamente pianificato, genera un importante risparmio fiscale immediato e contribuisce a creare un rapporto più solido e duraturo con il proprio management.

    Questo lavoro affronta i principali aspetti civilistici e fiscali e indica il modo corretto di operare, per permettere l’imputazione della quota annua di costo societario per competenza ed evitare che lo strumento utilizzato porti a contestazioni o riprese fiscali da parte dell’Amministrazione Finanziaria.

    Fa parte di questo strumento pratico operativo (tool) il verbale di assemblea dei soci.

    a cura di: Studio Meli S.t.p. S.r.l.
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