La Commissione di studio “Valutazione d’azienda” del Consiglio nazionale dei commercialisti ha realizzato una guida operativa a supporto dei professionisti lungo il processo estimativo delle PMI italiane che intraprendono percorsi di implementazione dei fattori ESG (environmental, social e governance) su base volontaria.
La crescente attenzione che è stata data negli ultimi decenni alle tematiche ambientali e sociali ha infatti portato ad un progressivo approfondimento dell’analisi degli impatti che le attività imprenditoriali possono avere sull’ambiente e sulle persone, ed il fenomeno dei fattori ESG sta quindi assumendo, a livello trasversale, una portata costantemente più rilevante e permeante.
In questo contesto, si legge nella premessa della guida operativa, l’attività del valutatore d’azienda non può esimersi dall’approfondire e considerare questa dinamica nelle proprie funzioni professionali, ponendo particolare attenzione all’enfasi da assegnare ai fattori ESG nelle stime del valore dell’impresa.
Il documento approfondisce e definisce le modalità operative per giungere a raccogliere e collezionare in maniera organica il set documentale necessario e prodromico al successivo processo valutativo.
“I fattori ESG – ha affermato il presidente Elbano de Nuccio – hanno una rilevanza trasversale, che partendo dagli obiettivi sostanziali che perseguono, caratterizzano il modello di business delle imprese e, conseguentemente, anche il processo tecnico professionale finalizzato a determinarne il loro valore. Gran parte del tratto caratteristico del processo valutativo afferente l’apprezzamento dell’impatto dei fattori ESG sul valore dell’azienda, pur non discostandosi dalle ordinarie impostazioni e tecniche sviluppate e costituenti basi consolidate nelle attività di stima, richiede all’esperto di sviluppare una spiccata sensibilità di natura qualitativa verso queste tematiche al fine di poterne apprezzare, e di conseguenza valorizzare, i possibili effetti e impatti sui fattori caratterizzanti il modello di business dell’impresa che più o meno direttamente incidono sulle logiche di creazione di valore”.
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Il Trattamento di Fine Mandato
L’attribuzione del Trattamento di Fine Mandato (T.F.M.) quale compenso aggiuntivo da riconoscere agli amministratori di una società, presenta vantaggi importanti che si manifestano su due piani:
- fiscale
- gestionale/strategico.
1. Vantaggi fiscali
Il T.F.M. rappresenta un'importante leva di pianificazione fiscale per le società e un significativo beneficio per i suoi amministratori.
Questo compenso, erogato al termine del rapporto di amministrazione, se correttamente strutturato, offre un duplice vantaggio fiscale: per l'azienda che lo accantona e per l'amministratore che lo percepisce.
I benefici fiscali del T.F.M. si articolano principalmente in due ambiti:
- la deducibilità del costo per competenza per la società, con conseguente riduzione dell'imponibile IRES ogni anno e
- la tassazione separata per il percipiente.
2. Vantaggi gestionali e strategici
Tralasciando il caso – peraltro molto frequente nelle società di piccole dimensioni (cosiddette “familiari”) di attribuzione del TFM per aspetti principalmente fiscali, è utile considerare il TFM un potente strumento di gestione aziendale perché favorisce questi importanti fattori:
In conclusione, per la società il TFM non è semplicemente un costo aggiuntivo, ma un investimento strategico che, se correttamente pianificato, genera un importante risparmio fiscale immediato e contribuisce a creare un rapporto più solido e duraturo con il proprio management.
Questo lavoro affronta i principali aspetti civilistici e fiscali e indica il modo corretto di operare, per permettere l’imputazione della quota annua di costo societario per competenza ed evitare che lo strumento utilizzato porti a contestazioni o riprese fiscali da parte dell’Amministrazione Finanziaria.
Fa parte di questo strumento pratico operativo (tool) il verbale di assemblea dei soci.
Contratto d'affitto di azienda
L'affitto di azienda è un contratto con il quale un soggetto (locatore o concedente) consente a un terzo (affittuario) il diritto di utilizzare la propria azienda dietro il corrispettivo di un canone.
L'istituto è previsto dal codice civile all'art. 2562 che rinvia al precedente art. 2561 che disciplina l'usufrutto dell'azienda.
Pertanto sia all'affittuario che all'usufruttuario si applica la medesima disciplina. ?Il contratto di affitto può riguardare l'intera azienda, più aziende possedute dallo stesso imprenditore o un solo ramo dell'attività. Il codice prevede una serie di poteri-doveri in capo all'affittuario in maniera che questi abbia la libertà operativa per gestire l'impresa, ma nello stesso tempo tutela l'interesse del locatore affinché non sia menomata l'efficienza dell'azienda che dovrà ritornare a sua disposizione alla scadenza del contratto.
Pertanto l'affittuario:
Atto dichiarativo di impresa familiare
L'art. 230 bis del codice civile costituisce una norma di chiusura in quanto regola i rapporti che si vengono ad instaurare tra titolare dell'impresa e suoi collaboratori - parenti e affini - quando tra questi non sia stato configurato un diverso rapporto [quale prestazione di lavoro subordinato (art. 2094 del codice civile), società (art. 2251 del codice civile), associazione in partecipazione (art. 2549 del codice civile), o comunione di azienda (art. 177 del codice civile)].
Ad ogni modo, quando il rapporto tra familiari risulta inquadrabile nell'ambito dell'impresa familiare, la norma prevede che qualora i collaboratori prestino la loro attività di lavoro in modo continuativo nella famiglia o nell'impresa familiare, gli stessi hanno diritto al mantenimento secondo la condizione patrimoniale della famiglia e, in proporzione alla quantità e qualità del lavoro prestato, a partecipare:
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